Ricordi quale è stato il tuo primo approccio al mondo dell’arte?
Il primo approccio più o meno consapevole l’ho avuto a casa di un parente di mio padre, Raffaele De Matteis; dipingeva dal 1954 – ma era un insegnante di latino e greco nei licei – e aveva una buona biblioteca domestica, anche se un po’ canonica. Lì ho visto per la prima volta – avrò avuto dodici o tredici anni – delle piccole opere di Ezechiele Leandro, un artista irregolare e babelico che ho molto amato sin da subito e di cui poi mi sono poi occupato, soprattutto in anni recenti. Gli sarò per sempre grato per questo casuale “incontro” con Leandro.
Lorenzo Madaro, critico d’arte e curatore oggi. Raccontaci …
Invero preferirei che fossero gli altri, eventualmente, a raccontare del mio lavoro di critico e curatore, magari gli artisti con cui mi relaziono più costantemente o i lettori che magari mi leggono sull'edizione pugliese di Repubblica o sulle riviste d’arte con cui collaboro. Posso solo dire che mi ritengo molto privilegiato di potermi occupare di tutto questo.
Due nomi su tutti, uno del passato e uno del presente, che secondo te hanno realmente modificato i canoni artistici fino a giungere al contemporaneo…
Duchamp, certamente Duchamp. Nei decenni più recenti Sol Lewitt. Ma è troppo riduttivo sintetizzare con due nomi ricerche e riflessioni che richiederebbero indagini e argomentazioni più elaborate. Avrei in mente tanti altri nomi e cognomi.
Il mercato d’arte in Italia, quali sono le tue considerazioni?
Bisognerebbe chiedere ai grandi galleristi italiani, penso per esempio a Lia Rumma, di cui stimo molto il percorso, sin dalla storica mostra di Amalfi sull’Arte Povera, promossa accanto al marito Marcello. E poi la lunga storia della galleria a Napoli e tutto il resto. Professionisti come lei hanno avuto un ruolo sostanziale in questo Paese, prima dell’impegno delle istituzioni, per formare un collezionismo, per allenare lo sguardo di tanti quando in Italia non c’era neppure un museo votato al contemporaneo.
2016: l’offerta artistica supera la domanda. Come pensi si possano conciliare queste “curve”?
Non conosco i dati reali, ma mi pare che ci sia un grande interesse per l’arte e per il contemporaneo nello specifico, anche da parte del pubblico non addetto ai lavori. Forse è solo una curiosità, superficialità o forse no.
Hai lavorato anche all'estero, pensi che l’arte italiana abbia i giusti requisiti per approdare oltre confine?
In realtà ad oggi mi è capitato di lavorare all’estero soltanto per il progetto europeo CreArt. Network of cities for artistic creation – perché faccio parte del comitato curatoriale da qualche anno – e per la personale di Daniele D’Acquisto lo scorso anno in una galleria di Parigi. Non parlerei però di arte italiana, perché esistono artisti italiani di grande valore, anche tra i più giovani, che però non rientrano in un clima di identità italiana. Parlerei quindi di artisti italiani che, chiaramente, hanno le carte in regola per emergere. In questo senso il lavoro di Francesco Arena – di cui stimo profondamente la ricerca – sta avendo dei positivi riscontri anche oltre i confini nazionali. Ma anche in questo caso i nomi da fare sarebbero diversi, idem le argomentazioni.
In quanto addetto ai lavori, cosa pensi di “aggiungere” all’Arte e cosa invece pensi l’Arte possa “aggiungere” a te?
Non ho la pretesa di aggiungere nulla, spero solo di conservare ad avere un rapporto costante, sincero e proficuo con gli artisti che stimo, di cui mi fido e di cui seguo il lavoro, insieme a quello degli artisti che incontrerò più avanti nel mio percorso. Penso che sia importante un lavoro comune, di dialogo costante, anche quotidiano, per costruire insieme riflessioni che vadano al di là di ciò che definiamo lavoro. Chiaramente un rapporto così non lo si può avere con tutti. Quello dell’arte è un mestiere troppo totalizzante per assumersi responsabilità limitate a tempo determinato. È un lavoro che inizia a un certo punto e non finisce mai. O almeno così dovrebbe essere. Cosa aggiunge l’arte alla mia vita? Domanda difficile, ma anche qui ritorno sulla sfera personale perché sono convinto che sia un osservatorio importante per la comprensione di fenomeni che vanno anche oltre alla realtà, insieme – come ho già detto – al percorso comune che si condivide con determinati artisti, compagni di strada. A proposito di questo, in futuro mi piacerebbe approfondire il lavoro di tre artisti italiani che stimo, Giovanni Termini, Matteo Fato e Andrea Magaraggia.
Quale credi sia il ruolo dell’artista contemporaneo?
Non credo ci siano dei ruoli definiti e determinabili. E questo è un bene. Di certo non tollero lo pseudo impegno sociale e sofisticatamente etico di alcuni artisti. Ormai c’è bisogno di impegni più concreti, reali.
Quali sono i lavori a cui sei maggiormente affezionato e perché?
Ovvero progetti curati? Sono molto legato a un progetto espositivo ed editoriale – Leandro unico primitivo, promosso dalla Soprintendenza di Puglia con diverse partnership in tempi recenti e da me curato insieme ad altri professionisti – sull’artista irregolare Ezechiele Leandro. Questo perché Leandro è un artista che ho sempre studiato e che finalmente con questa mostra (in corso fino al 30 settembre in diverse sedi in Puglia) ha avuto il giusto riconoscimento, lontano dagli stereotipi che l’avevano danneggiato anche in vita. Sono molto legato anche alla recente mostra di Michele Guido – Stellaria Solaris Garden project – che ho curato quest’estate a Palazzo Comi di Gagliano del Capo, anche perché in contemporanea in questo piccolo lembo d’Italia sono andati in scena diversi progetti promossi dall’associazione Capo d’arte – l’installazione di Shilpa Gupta – e da altre realtà. Perciò per diverse settimane Gagliano è stata una cittadella del contemporaneo. Ringrazio quindi Capo d’arte e il curatore Massimo Torrigiani per aver favorito questa vitalità, è stato un interessante esperimento di convivenza di progetti autonomi e il pubblico si è dimostrato entusiasta per tutte queste possibilità. Tra i progetti editoriali a cui sono più legato c’è la monografia di Daniele D’Acquisto edita lo scorso anno, un lavoro intenso e comune pensato insieme pagina per pagina.
Come ti “muoverai” nel prossimo futuro?
Sono in corso alcune mostre che ho curato in tempi recenti, perciò ci sarà da impegnarsi ancora su quel fronte. Il 2 agosto scorso nel castello Carlo V di Lecce si è inaugurata la mostra Analoghìa, con Matteo Fato, Luigi Massari e Luigi Presicce – e realizzata in collaborazione con Galleria Bianconi di Milano – e proprio in questi giorni sto lavorando al catalogo, che uscirà a breve. In quest’occasione ho conosciuto meglio il lavoro di Matteo Fato – mentre conoscevo già abbastanza quello di Massari e Presicce –, che ho sempre rispettato, ed è stato un piacere condividere con lui idee e riflessioni. Poi c’è in corso, sempre nel castello, un doppio progetto con opere di Andy Warhol e scatti di Maria Mulas che ritraggono il padre nobile della Pop Art nel 1987 a Milano. Poi c’è ancora in corso Leandro unico primitivo e a breve presenteremo il catalogo (pp. 272, Grenzi Editore) che ho curato per l’occasione con Antonella Di Marzo, Brizia Minerva e Tina Piccolo. Per l’autunno e il prossimo inverno ci sono diversi progetti in via di definizione, da un lato attenzioni verso artisti già storicizzati, dall’altro talk – uno con Bianco-Valente i primi di novembre a Lecce – e progetti con giovani artisti, anche per la prossima estate.
© Annarita Borrelli