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Intervistare l'arte - Maurizio Cesarini



Raccontaci Maurizio Cesarini artista …

Difficile parlare di sé e del proprio lavoro, poiché il lavoro spesso appartiene ad una sfera che non ci appartiene. Non intendo riproporre il cliché dell'artista che riceve l'ispirazione della quale è una sorta di succubo; penso che la questione si ponga tra l'equidistanza tra il sapere e quindi la consapevolezza e l'intuizione, ossia il momento in cui le cose, anche comuni, viste sotto un'altra prospettiva acquisiscono un nuovo senso. Per quanto riguarda il percorso personale, diciamo che ancor oggi permangono una sorta di stupore infantile e domanda adulta che permettono l'aprirsi verso l'intuizione improvvisa senza alcuna remora. Naturalmente penso che la consapevolezza intesa come formazione culturale abbia un suo peso; non si può vedere ciò che si ignora possa esistere. Per quel che concerne l'assunto autobiografico posso dire che ho iniziato giovanissimo lavorando nell'ambito della Body art , sviluppando un percorso di ricerca che utilizza vari medium quali la fotografia digitale, il video e negli ultimi tempi anche la performance .


Parlaci del concept primario che caratterizza la tua proposizione artistica.

Son convinto che ogni artista, come affermava qualcuno, in fondo fa sempre lo stesso quadro. Intendo con questo che esiste un motivo che come un fiume carsico, attraversa tutta la ricerca, anche se i mezzi espressivi sono diversi la sottotraccia appare comunque; a volte allusa, altre volte pienamente dichiarata. Sin dagli inizi ciò che mi ha sempre attratto è la questione dell'identità, il ruolo che si assume e nel quale ci si identifica. Le prime performance vertevano appunto sulla distinzione, almeno esteriore, tra uomo e donna attraverso l'adozione del travestitismo come modalità operativa. Nel tempo, anche per gli ulteriori studi compiuti, la questione ha assunto una ben più ampia prospettiva, pur mantenendo come costante la ricerca e la fascinazione relativa alla questione identitaria. Questo è il motivo per cui utilizzo spesso la mia immagine o adotto la mia presenza come possibilità costitutiva del lavoro. Non certo per una mera dichiarazione egotica o per una affermazione narcisistica, ma come materiale che, una volta divenuto opera, possa parlare, possa produrre forme di identificazione nel pubblico. L'evoluzione della questione si è certamente ampliata nel momento in cui ho iniziato a frequentare i testi di Jacques Lacan ed in particolare la sua teoria relativa allo "Stadio dello specchio".


Tre lavori che ti hanno dato maggiori soddisfazioni …

Citerei alcuni che ritengo sostanziali e che hanno determinato una svolta significativa: "il senso della ferita" una performance del 1977 in cui per la prima volta agivo sul corpo oltre che con il trucco, con tagli e ferite per trarre fuori l'imago corporea da una identificazione identitaria troppo estetizzante.

Poi direi "We Are" un video del 2009 in cui l'alterità è definita da uno sdoppiamento identitario. Infine alcune serie di foto recenti dove l'assetto corporeo viene stravolto al fine di arrivare ad una nuova determinazione di sé.


Qual è il tuo pensiero in merito alla tecnologia nell’arte?

Penso che la questione dell'arte non si ponga attraverso la tecnica adottata, deve nascere da una idea; per me che ho un retroterra di stampo concettuale l'idea è importante e fondante. Naturalmente per venire ad essere abbisogna della tecnica adeguata, quindi è l'opera che chiede quale tecnica adottare di volta in volta. Quindi la tecnologia è parte, assieme ad altri mezzi, del percorso creativo che conduce alla realizzazione dell'opera qualora la stessa la presupponga. O per dirla in altro modo la tecnologia in sé non fa l'opera, ma permette di poterla fare se l'opera la presuppone come evenienza operativa.


Da quali altre forme d’arte è contaminata la tua? Quali sono le reali modalità di influenza?

L'arte è al limite un discorso sull'arte, quindi le influenze sono molteplici, dal dato grezzo esperienziale, alle opere di altri artisti nelle quali ci si riconosce, alle letture siano esse psicanalitiche, poetiche, filosofiche o letterarie. Ciò che rientra nella mia sfera esperienziale poi può tradursi in arte.


Sulla base della tua intensa carriera artistica, qual è il tuo “punto della situazione”?

Direi, adottando una efficace definizione , che siamo in un clima di babele linguistica, laddove e molti artisti contemporanei lo dimostrano, l'uso delle modalità tecniche, tecnologiche e creative adottano possibilità espressive di taglio trasversale, muovendosi tra diversi linguaggi e forme di contaminazione interlinguistiche. Specchio di una contemporaneità in cui l'approfondimento è a volte sacrificato ad una diffusività informativa di tipo pulviscolare.


In un mondo senza alcun limite, che tipo di opera realizzeresti?

Forse un'opera che mostra i suoi limiti.


Qual è il ruolo dell’artista contemporaneo?

Direi, tautologicamente, quello che dimostra; infatti spesso se seguiamo le notizie di cronaca e dell'arte si può evidentemente dedurre che l'arte ancora possiede una evidente forza eversiva. Ha la capacità di scandalizzare, di far discutere, di creare consenso e dissenso. Ecco il ruolo dell'artista, mantenere queste possibilità, porsi e porre continuamente domande e nella migliore delle ipotesi far pensare.


Maurizio Cesarini cosa vorrebbe fare da grande?

a) Liberarmi delle mie ossessioni e vivere tranquillo.

b) Coltivare la mie ossessioni per continuare a fare arte.


Un consiglio sincero per un giovane che intraprende la carriera di performer …

Più che consigliare, forse suggerire di non adottare la performance perché può a volte assumere una forma spettacolare e perché oggi sembra in alcuni casi che stia diventando una sorta di moda. Ma di partire dalle proprie idee, dal proprio sentire saranno queste a suggerire la forma della performance se è il caso.


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