"Anche io da piccola gettavo le mani sulla schiena a cercare la luna e il sole e qualche astro da starnutire. Lo volevo. Volevo distribuire le stelle così … mentre trabocca vano di luce, così, molte, così sideriche e fatte a distanza." (All'Incircadime). Ogni poeta ha il suo linguaggio per descrivere il mondo, cercarlo nelle parole del proprio corpo, portarle a se per condividerle, per sfuggire ai margini che la vita offre. La ricerca poetica di Barbara Pinchi è visionaria, ma nello stesso tempo penetra come una lama affilata nel vissuto di chi la legge. "Lo volevo forsennatamente, vivisezionare qualche foglia, farmi dare un segreto, anche uno, uno solo. Lo volevo e lo voglio ancora (All'Incircadime). Le sue parole danzano, fra una virgola e l'altra, dando corpo a forme che la dicotomia fra realtà e sogno nell'oltre rivisitandolo, rimandano." … e trova il chiasso del sorriso quando appoggia le sue labbra sulla luna" (Sisbilancia). Un oltre senza confini dove la parola tocca tutto ciò che muove rivelandosi e rilevandoci sogni e sostanze senza connessione logico - deduttiva. Poesia di suoni e di immagini, a voler quasi superare lo sconcerto dell'anima della sofferenza e della morte.
di Anna Palasciano
ALL'INCIRCADIME
Anch'io da piccola gettavo le mani sulla schiena a cercare luna e sole e qualche astro da starnutire. Lo volevo. Volevo distribuire le stelle così … mentre traboccavano di luce, così, molte, così sideriche e fatte a distanze. Lo volevo. Volevo che l'insalata fosse buona, volevo che l'animale avesse a parlare con il dentro della mia pelle, come i patti di sangue, le chiusure fraterne e segrete al valico dell'altro mondo. Lo volevo, già da allora. Che la lingua fosse un nodo che non si scioglie, un continuo cercare il punto d'incanto, il ritrovamento del perdersi costantemente. Essere più in alto, lo volevo. Non era superiorità, era l'angolo della vista, l'osservazione strabica della terra. Lo volevo, quel torpore avido di tracce. Volevo quel percorso che riconosce il fiuto. Lo volevo. Essere sporca, gettare gli abiti nel pozzo, non spazzolarmi l'anima qualche volta, lasciarsi dormire tra le polveri. Farsi l'altalena da soli e avere un braccio in più di scorta. Sono stata anche storpia, lo volevo. Così si raccontano le storie. Si fanno le punte e poi non si scrivono. Non si spreca la carta, si riciclano i pensieri, si fanno appesi, si gettano al pubblico ludibrio. La vergogna si affetta, se ne getta un pezzo alla volta a quelli che da sopra masticano. A quelli della carne, a quelli dei cadaveri, che fanno grandi sogni sulle scale degli altri. Lo volevo, forsennatamente, vivisezionare qualche foglia, farmi dire un segreto, anche uno, uno solo. Lo volevo.
E lo voglio ancora.