Nicola Fornoni, perché l’arte?
L'arte è un sentimento e un processo mentale che nasce come metodo di scoperta. Trovo sia particolarmente utile e necessaria nell'indagine costante della realtà esteriore ed interiore. È un linguaggio forte e personale, mette in luce molte parti inesplorate ma soprattutto è una cura per se stessi e per gli altri. E l'essere umano ha bisogno di tutto ciò per cercare le motivazioni dell' esistenza; c'è chi prova con la religione, chi con l'arte, chi viaggiando, chi con la filosofia, chi in mille altri modi ecc. A me si è manifestata, in primis, l'arte.
Nicola Fornoni performer ... raccontaci brevemente questa storia ...
Ho scoperto la performance durante il terzo anno di accademia all'interno di un corso universitario. Volli creare la mia prima azione come prova. L'anno seguente capii fosse il linguaggio estetico, formale ed artistico personalmente più affine. Performai ancora in accademia e feci la mia prima performance pubblica nel 2013 in un festival in provincia di Lecco. Da lì non mi sono più fermato. Il lavoro di performance artist trovo sia un continuo scavare in se stessi e nella realtà che ci circonda per arrivare a delle risposte. Nicola come performer è molto simile a Nicola, anzi è Nicola liberato dalla morale e dall'ipocrisia sociale.
Tre nomi di art performers di ieri e di oggi a cui ti ispiri ... e perché ....
Non ho più un riferimento singolo e preciso che mi ispira. Cerco di pensare con la mia testa e sentire nel mio cuore. Tutto ciò che ho studiato e sto leggendo, guardando e studiando mi influenza in qualche modo. Mi faccio ispirare da innumerevoli artisti, registi, immagini, performers. Attingere solo da pochi vorrebbe dire esserne seguace ed allievo. Ovviamente ho delle preferenze a riguardo soprattutto a livello della body art storica e contemporanea ma cambiano e si evolvono in base al contesto, al progetto, alla ricerca. Se dovessi essere costretto a dire dei nomi al volo, probabilmente, direi: Marina Abramovic, Alejandro Jodorowsky, Rebecca Horn. Contemporanei: Regina Josè Galindo, Kyrahm+Julius Kaiser, VestAndPage. Perchè ognuno di questi ha qualche caratteristica formale, tematica o di pensiero affine alla mia poetica.
Un solo nome come riferimento dell’arte classica ... e perché ...
Ci ho pensato parecchio, devo ammetterlo ma penso proprio Leonardo Da Vinci. Leonardo era ed è tutto: Arte, Architettura, Scienza, Biologia, Alchimia... e sento che sia uno dei personaggi più vicini allo studio dell'anatomia dal punto di vista scientifico perciò, visto che la mia indagine volge anche sulla funzionalità del corpo e dei corpi, nella malattia e nella salute, dico il suo nome.
Una tua opera a cui sei particolarmente legato ... e perché ...
Sono combattuto tra In vino veritas e Diventa ciò che sei. A mia madre. Probabilmente direi l'ultima in quanto racchiude una performance nella performance. I capelli di mia madre li ho raccolti ogni fine settimana per due mesi e mezzo, questo rituale si è trasformato in cura, momento di meditazione. Ha un concetto performativo vasto che si realizza con una preparazione molto lenta e lunga al di là del momento in cui performo. Viene concepito nella quotidianità. Oltretutto è una live durational e ho scoperto di amare moltissimo questo modo di performare in tempi lunghi.
Cosa vuoi comunicare e cosa vuoi suscitare attraverso la tua arte? ... Per contro cosa non vuoi né comunicare né suscitare?
Tutto ciò che faccio è spinto da un universale desiderio d'amore. Non mi metterei così tanto in gioco se non volessi tramutare le situazioni e far capire di cambiare rotta all'interno di un pensiero sociale preconfezionato. La distorsione lieve e delicata nei ragionamenti estetici, filosofici e sociali è data da un continuo far leva sull'abbattimento di concetti quali normalità e diversità. Siamo tutti sullo stesso pianeta e abbiamo funzioni che completano l'altro. I diritti sono gli stessi per tutti, nessuno escluso: mi batto per questo tramite un'arte velata da attivismo. La mia comunicazione, simbolica ed estetica, verte in ciò che ho vissuto e sto vivendo. Ve lo dono con tutto me stesso affrontando la vergogna, il disagio facendo a pugni con l'indifferenza ed il moralismo e il perbenismo. Non voglio assolutamente suscitare alcun sentimento di pietismo. Mi interrogo spesso su questo.
Sei molto aperto alle collaborazioni nell’arte ... parlaci di queste tue esperienze.
Si ne ho avute parecchie. Mi hanno dato molto e plasmato in qualche modo. Negli ultimi anni ho collaborato con Rain D'Annunzio per quanto riguarda miei progetti soprattutto a livello video performance. Nel 2015 abbiamo fatto parecchi lavori assieme. Nel 2014 collaborai con Stefania Zorzi per CORPOCONTROCORPO: cercavo una ragazza che non avesse vergogna a stare nuda. Poi ho inserito, mia sorella, in In vino veritas che abbiamo performato per due volte. E nel 2016 mi chiamò Kyrahm per entrare a far parte di Ecce (H)omo, Guerrieri performance scritta e diretta da lei stessa che abbiamo fatto sia a Roma, in Palazzo Falletti, sia a Venezia per il 3rd Venice International Performance Art Week curato da VestAndPage. Sono state collaborazioni forti, sentite, direi necessarie.
Immaginandoti in un mondo senza alcun tipo di limite che tipo di opera realizzeresti?
Di limiti ce ne sono veramente pochi e la maggior quantità, di quei pochi, sono dati, principalmente, dai curatori e dalla mente degli esseri umani. Per questo credo profondamente che la curatela dei festival debba essere fatta da artisti. Non ci sarebbero cosi tanti paletti di struttura e di pensiero verso la reazione del pubblico. Realizzerei qualcosa che potesse sfamare l'intera popolazione, curarla, guarirla, rabbonirla.
Nicola Fornoni e le ambizioni ... cosa ne pensi?
Non posso dire di non averne. Sono fondamentali per andare avanti. Se la performance art fosse una missione, come penso essa sia, è accettabile e comprensibile che la veda come portatrice di nuove idee illuminanti e di amplificazioni della mente umana, nel suo vivere, nel suo percepire. Vorrei che le persone arrivino ad avere una uguaglianza, vorrei che non ci fossero differenze di trattamento sociale per ogni singola alterazione estetico, concettuale, razziale. Questa è una delle mie ambizioni più grandi. Quindi spero che il mio lavoro possa espandersi per arrivare, in qualche modo, a tutti e possa dare una svolta al pensiero globale.
Quale credi sia il ruolo dell’artista contemporaneo?
Credo sia, come ho detto nella risposta precedente, ampliare le coercizioni mentali dell'essere umano. Siamo ancora molto limitati. I moralismi ci fanno perdere di vista l'essenza, le necessità e l'origine. Non possiamo nasconderci dietro uno specchio ma rifletterci in esso e livellare le differenze accettando la propria natura. L'artista non ha più un ruolo estetico, deve aver la possibilità di cambiare le cose. La bellezza non salva il mondo. È l'amore e la bontà che può farlo e il senso sociale e umano in modo rizomatico.
Lo staff di ignorarte