Per cominciare raccontateci la storia della vostra band: come è cominciata questa avventura?
Dobbiamo forse ringraziare il workshop della Julliard School che si tenne al Conservatorio di Torino nel Maggio 2015. Io ero da poco arrivata in Italia e dovevo un po’ ricostruire la mia vita, le mie amicizie ed i contatti per il mondo del lavoro. Suonammo assieme in questo workshop e qualche mese dopo, nell’autunno 2015, invitai i ragazzi a casa mia a ripetere l’esperienza con l’obiettivo di sviluppare un repertorio personale.
Raccontateci ora il percorso vero e proprio che ha portato alla nascita di questo disco…
E’ avvenuto tutto in modo molto naturale. Abbiamo cominciato ad avere diverse date e fra i classici standard abbiamo cominciato ad inserire pezzi scritti da noi. Dopo la tournée in Finlandia, nell’estate 2016, ci siamo accorti di avere diversi brani interessanti per il nostro gusto e a detta del pubblico che ci seguiva. Da lì l’idea di incorniciare il nostro lavoro con un disco.
All’interno del disco abbiamo trovato molti linguaggi e differenti stili: ci volete descrivere a questo punto Here & Now?
E’ vero, diventa quasi difficile definire il nostro sound proprio per via di linguaggi e stili differenti. Questo è dovuto al fatto che ogni pezzo lo scriviamo individualmente, facendo assieme piccole correzioni e aggiustamenti, ma ogni brano parte dalla singola esperienza. Qualcuno potrebbe considerarlo un difetto ma per noi non è che un valore aggiunto. In fondo la vita e la musica sono proprio così. Siamo tutti diversi, veniamo da esperienze differenti, da culture differenti, abbiamo emozioni e sogni differenti. E’ la bellezza è saperli condividere. Nel suonare pezzi che non ci appartengono, impariamo l’empatia, l’accettazione e la condivisione. Parlando e studiando insieme si condivide il risultato che si vorrebbe ottenere. Il disco penso rappresenti bene questo concetto. Sono sicura che in futuro, grazie al lavoro di gruppo, impareremo a suonare questi stessi pezzi in modo ancora differente, senza cambiare il nostro stile, ma influenzandoci a vicenda.
Quali sono state le principali fonti di ispirazione della vostra band?
Gli spunti per scrivere e sviluppare i nostri brani sono molteplici. Ad esempio alcuni brani dei ragazzi, su tutti Blueberry fields, sono stati ispirati dalla tournée in Finlandia. Era la loro prima volta nel mio paese e quell’esperienza servì da stimolo per quei pezzi che raccontano un po’ i giorni trascorsi assieme in posti non così tipici e conosciuti. Parlando di ispirazione stilistica invece si apre un mondo. Io ho sempre ascoltato molto e amato su tutti Charlie Parker, Paul Desmond, Cannonball Adderley e Kenny Garret. Emanuele Sartoris si ispira spesso alle sonorità di Bill Evans e Keith Jarret, alla poesia di Fryderyk Chopin e ai virtuosismi di Chick Corea. Dario Scopesi ha fra i suoi favoriti Charlie Haden, Jaco Pastorius e Scott La Faro che reinventò il ruolo del contrabbasso e lo trasformo da semplice accompagnatore ritmico a vero e proprio leader delle linee melodiche mentre Antonio Stizzoli venne folgorato dalla versatilità di Roy Haines, che riuscì ad impersonare qualsiasi tipo di jazz dal bebop all’avanguardia, all’innovatività e audacia di Paul Motian fino all’incredibile poliritmicità di Elvin Jones.
La vostra band nel futuro: le vostre aspettative…
Sogni ce ne sono molti. Sicuramente speriamo di continuare ad affermarci come quartetto e di poter continuare a scrivere brani interessanti che piacciano al nostro pubblico, il resto, “lo scopriremo vivendo”.
Lo staff di ignorarte