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Adelaide Fontana - Regina
La nostra memoria emotiva ci rende vivi. E’ intensa, incancellabile, selettiva. Adelaide Fontana racchiude al centro dello spazio cubico una reliquia, un ricordo molto prezioso, l’oggetto vivo di una reminiscenza intimamente sacra e poi la rivisita sulla base dell’esperienza e del dolore opaco e cupo della vita. L’opera celebra un’immagine che respira nell'infanzia, girando nella penombra come nel territorio di contatto più misterioso con ciò che ci sovrasta e ci assolve.
Vera Gjermundsen - Metro Kraków
Il tocco minimale del fotografo si esprime attraverso un atto di scomposizione geometrica dello spazio cubico. L’artista stratifica la terza dimensione attraverso l’inclusione di piani bidimensionali posizionati a distanze regolari, così da concedere ritmo prospettico ed una visione di contagio tra profondità, estensione, superficie e volume del e nel mondo. Il risultato è una rinnovata gradazione della vita, ricca di immagini di sfondo e vie di fuga che respirano in una terra di mezzo, oscillante tra la seconda e la terza dimensione. Una soluzione “altra”, contrapposta alla visione statica del mondo dinamico; cercare di seguire la linea prospettica data dal posizionamento di un’immagine, un’ombra che si sposta … e poi scoprire che tutto è eterno, invariato, inalterato; quasi impercettibile è il sapore amaro di un’evanescente illusione. Le strutture sociali “liquide” della contemporaneità raccontano la storia di un uomo che si scioglie, incapace di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo. Lo spazio cubico di Vera Gjermundsen, come qualsiasi possibile prassi figlia di una dinamica di stratificazione ontologica del reale, si interrompe e si dissolve insieme alle nostre misere convinzioni.
Joollook - J3D1
Lo spazio cubico di Joollook costituisce una rappresentazione solida di un proprio usuale tratto artistico distintivo, espresso attraverso un intreccio di matrici astratte. L’opera è concepita attraverso un’armonia posta al di là del tempo e dello spazio. Questo reticolato concettuale vive come il caos, raggiungendo un ordine interiore solo quando prodotto dalla forza della trascendenza. Il duo artistico celebra l’idea di mondo “altro”, un mondo che non esiste, ma che l’uomo ha la necessità di creare. In questa terza dimensione è possibile una tensione alla convergenza tra intuizione e giudizio, tra forma ed interiorità. Ma qual è il nesso tra forma e interiorità? E soprattutto, dove persiste questo rapporto quasi sacro tra anima e forma? In realtà questa commistione seguita nella mente, nei suoi processi empatici a fondamento della creazione artistica, oppure nel silenzio come nei vuoti naturalmente nascenti dalla composizione/decomposizione della matrice come origine e schema. La parola cessa e subentra l’arte, originata da quel silenzio e che a quel silenzio ritorna senza limiti.
Pietro Mancini – Le case del suono
Il cubo d’arte di Pietro Mancini è una casetta bianca, il nostro focolare domestico, a volte anemico, pallido, sbiadito dalle stanchezze e dalle abitudini, tuttavia assolutamente bianco … puro e consolatorio. Una dimora, un tetto, le nostre quattro mura calde e poi il suono nitido di un ambiguo mondo fatto di insetti parassiti che disturbano i nostri alveari, segnando i confini di una prodigiosa dimensione in cui scriviamo il senso dell’esistenza semplice su questa terra. In ciascuno di noi vive il bisogno di essere ascoltati e di ascoltare, la necessità di localizzare questo meta-luogo come l’urgenza di ritrovarsi disarmati in un rifugio sano, chiaro, autentico, genuino e contaminato solo dalle narrazioni quotidiane, soffocanti o meno che siano. Un’opera che diventa oggetto e atto performativo nell'interpretazione di chi scrive inconsapevole, ad occhi chiusi, la partitura della propria vita, fluttuante tra l’occorrenza della letizia vivida nel proprio nido per la notte e la lotta contro tutti i possibili fastidi.
Roberta Maola – Apri la porta e accendi la luce
Il destino è uno scrigno esclusivo, un territorio aperto e chiuso. Se guardiamo al suo interno osserviamo il tempo compiuto, ma di quanto dovrà accadere non si conosce nulla, solo qualche presentimento, qualche intuizione. Roberta Maola disegna uno scrigno in uno scrigno, come un destino nel destino, fino al fondo di un malinconico segreto; occhi innocenti e vivaci di fanciulli che trattengono il sapore di un mondo incerto, tuttavia ancora vivo e ricco di speranze riposte nella bellezza semplice di uno scambio, di una relazione, di un affetto, di un legame. L’opera rivela la preziosità dei beni noti, esaltando l’urgenza di trascorrere la vita riscoprendoli.
di Annarita Borrelli