La riappropriazione del sé è un concetto paradossale, quanto mai bizzarro, irragionevole come l’insensatezza con cui, sin da piccoli, spesso, non riusciamo ad accettarci, unici e soli, su questa terra. Forse l'identità è come la libertà, solo un fatuo bisogno che inquieta. Claudia Quintieri parte da lontano, dall'idea di una storia femminile ancora bambina, a volte capricciosa, a volte confusa.
V’è un moto identitario mascherato, bianco, vuoto di sé, agitato … che si dimena sul piano fotografico di questa narrazione senza volto proiettata a terra. E’ una rivelazione esistenziale che accade nel tempo e con il tempo matura, cambia, si perfeziona e si costituisce come una eco annunciata sin dai primordi della vita stessa.
Siamo figli di un mondo in cui l’uomo non è in grado di abbracciare l’essere o di comprenderne il significato, siamo vittime di uno status psico sociale per cui riusciamo solo a cogliere le apparenze, questo è un male in primis interiore, un male nero che abbatte.
L’epilogo di questa danza impulsiva è il riconoscersi come il ritrovarsi, un idioma identitario che, finalmente ed assurdamente, solo con l’occasione dell’esperienza si riconcilia con la propria insita natura, quindi con l’idea artificiale della rivelazione di un volto che, lentamente, decide di smascherarsi dinanzi al destino.
La video art “Identity” sembra figlia di un cammino artistico illuminato; è un possibile racconto psichico dell’evoluzione in sè, un cammino di consapevolezza, un viaggio da se stessi in se stessi, definito dai meccanismi di una profonda ricerca identitaria di genere.
di Annarita Borrelli