Protagonisti o spettatori?
Malinconia dei giochi d’infanzia, delle bambole nostre amiche quotidiane con quella consapevolezza disillusa dell’essere “ormai grandi” ma, al contempo, il desiderio e la speranza umana che qualcosa di bello ci sia e che i sogni si possano un giorno davvero realizzare.
Nando Crippa non poteva che plasmare terracotta, materiale semplice e meno nobile del marmo, in assoluta sintonia con i suoi personaggi.
Non dedica, come molti artisti nei secoli, la sua Arte a icone, personaggi storici, ma focalizza in modo quasi provocatorio, l’attenzione dello spettatore proprio su quelle persone semplici e comuni a cui la società, e noi stessi, troppo spesso nel quotidiano non dedichiamo attenzione.
A quei semplici “omini” che vivono la vita senza eccessi, senza troppe pretese, spesso anche troppe poche ambizioni, in bilico tra “normalità” e sopravvivenza.
Da dove derivi questo anonimato non è facile comprenderlo. Ed ecco che Crippa omaggia tali “personaggi in cerca d’autore” e forse anche di storia per scuotere il pubblico. Perché anche le persone apparentemente semplici e di contorno, quelle che talvolta lavorano tra le propria mura domestiche e non amano socializzare, o che questo ai più dimostrano, in realtà spesso sono quelle che nascondono grandi talenti, grande cultura e, chissà, magari anche il giusto equilibrio… perché è più difficile sottrarre, togliere che aggiungere, e questa regola non vale solo nelle arti plastiche ed architettoniche, ma forse anche nella ricerca del nostro microcosmo, del nostro “IO”.
Opere delicate e velate di tristezza, volutamente un po’ annebbiate negli sguardi di assoluta modestia e nei colori. A noi comprendere se “consumate” dalla vita o se volutamente in secondo piano, “in seconda serata” direbbero di un palinsesto ricco di reality show che tutto hanno a che vedere tranne che con la quotidianità dei più.
Crippa ha la grande capacità, tra le tante, di saper fissare momenti lunghi eternità, nel silenzio che le sue opere ci conducono a ricordare. Attimi di riposo dei suoi personaggi, spesso seduti su panchine o scalinate immaginarie, capaci di trasformarsi in globi terrestri incolori, mondi anonimi, privi di natura, a suggerire sì il senso di abbandono in chiave malinconica a triste, ma anche la padronanza della propria vita, se solo ci si sofferma a pensare o a non ascoltare il caos che ci circonda. O ancora lunghi tavoli, in cui il personaggio presiede riunioni immaginarie, con capacità e determinazione, seppur spaventato e consapevole che tutto può scivolare di mano come burro, se permettiamo agli stereotipi che l’odierna società sembra premiare, di intervenire.
Personaggi senza tempo, quasi fuori moda, sospesi nei decenni a cavallo tra il Novecento e questo nuovo millennio. Uomini di periferia, classici contabili con i manicotti neri per non sciupare la camicia inamidata che, spesso, si sono stirati da soli. Personaggi quasi asessuati, senza età, pronti ad essere protagonisti delle opere di Crippa e immergersi in piscine asettiche, ove vige la rigida regola della cuffia da bagno, o ad andare a letto soli, o in compagnia della moglie casalinga, che ha perfettamente stirato il corredo… non importa quale sarà la destinazione, l’artista che li plasma saprà dare loro il giusto abbigliamento, pronto a rivederne i colori se non sono convinti della scelta, ma a cui, come sempre, è stato spiegato che il tempo verrà fermato nell’attimo in cui inizia il loro pensiero, il loro domandarsi il perché della vita.
Cavalieri senza cavallo, rare figure femminili vestite in abiti modesti, mai in pantaloni per non dare loro troppa autorevolezza. Non sono presenti forme che prevaricano la figura del suo personaggio, a dimostrare la poca importanza per l’autore delle cose materiali, dell’attaccamento agli oggetti, talvolta persino alle sue opere perché, ciò che conta davvero per lui, è dare una vita ai suoi personaggi amici immaginari; dare loro un’anima attraverso le sue mani e riportarli al mondo sotto gli sguardi proprio di quelle persone che, lungo la strada per andare al lavoro, continuerebbero a non “vedere” quel signore in giacca e cravatta seduto sulla stessa panchina ogni giorno, o quel collega di sempre con il maglione rosso, inverno od estate che sia, di cui nemmeno conosciamo il nome…
Forse, talvolta, autoritratti, cloni del suo stesso essere con forme, dimensioni, volti puliti, accomunati da un senso di solitudine assoluta che, nel suo caso, spesso è cercata e non certo subita. Denominatore comune delle sue opere, sono i minuti lunghi anni in cui sono assorti i personaggi distratti, annebbiati nei loro pensieri, quasi assenti e dal sapore un po’ fuori moda, immersi in grandi spazi vuoti; da qui la volontà di presentarli su piastrelle monocolore, come fossero piazze infinite, spazi illimitati in cui ci può essere posto per tutti, ma in cui ci si sente immensamente soli; scale ove non si comprende se sia meglio scendere o salire, coni scivolosi su cui si rimane inspiegabilmente appiccicati in eterno senza mai cambiare quota e stancarsi.
di Serena Mormino